DON GIOVANNI Alfin siam liberati, Zerlinetta gentil, da quel scioccone. Che ne dite, mio ben, so far pulito?
ZERLINA Signore, è mio marito...
DON GIOVANNI Chi? Colui? Vi par che un onest'uomo, un nobil cavalier, com'io mi vanto, possa soffrir che quel visetto d'oro, quel viso inzuccherato da un bifolcaccio vil sia strapazzato?
ZERLINA Ma, signore, io gli diedi parola di sposarlo.
DON GIOVANNI Tal parola non vale un zero. Voi non siete fatta per essere paesana; un altra sorte vi procuran quegli occhi bricconcelli, quei labretti sì belli, quelle dituccie candide e odorose, parmi toccar giuncata e fiutar rose.
ZERLINA Ah!... Non vorrei...
DON GIOVANNI Che non vorreste?
ZERLINA Alfine ingannata restar. Io so che raro colle donne voi altri cavalieri siete onesti e sinceri.
DON GIOVANNI È un impostura della gente plebea! La nobilità ha dipinta negli occhi l'onestà. Orsù, non perdiam tempo; in questo istante io ti voglio sposar.
ZERLINA Voi!
DON GIOVANNI Certo, io. Quel casinetto è mio: soli saremo e là, gioiello mio, ci sposeremo.