uor di città presso l’Arno una sera, una sera di primavera, vidi sull’aia d’un casolare parecchie coppie a ballare.
M’avvicinai, al vedermi mi fanno: “Venite, venite avanti, sapete qua, noi non si sa ricevere come in città.
Gli è il valzer della povera gente, gli è un semplice valzer, l’è fatto di niente. Con du chitarre e un organino ti ballan fino al mattino.
Non è liscio il nostro impiantito, si rischia a ballà di restà li stecchito. Senti dire bellona, biondona, gli è un valzer ch’è fatto alla bona”.
E cosicchè da una strada si vide avanzarsi una figurina, certo veviva per curiosare e l’era la padroncina.
“Fermi”, si disse, e la bella creatura rispose: “Su continuate, io vengo quà, che ci sarà chi un poco danzar mi farà”.
Gli è il valzer della povera gente, gli è un semplice valzer, l’è fatto di niente. Con du chitarre e un organino ti ballan fino al mattino.
“Attenta che li c’è una buca, gli è qui che s’attacca ogni giorno la ciuca. E gli è un valzer rapassi, trasassi gli è qui che si cerca a far sassi”.
Quando al mattin splende il sole dorato si vede che la massaia la stende panni fini di bucato di certo è molto più gaia.
“Oh bona donna, ohi che l’è quella striscia distesa li sotto al sole?” Quella mi fa piano andare là.
Allora una vecchia di là: “È que gli è il valzer della povera gente, anch’io lo ballai, ma ora un l’ho più alla mente, ci stava, lo ballavo da giovinetta.
Quand’ ero un poco civetta, che civettavo di molto anch’io, eh! Ma adesso lo ballan quell’altre, e le ci cascan tutte, anche quelle più scaltre.
E gli è un valzer saltato e strisciato e ci voglion le fasce e il curato”.